SO 70’S BAUSTELLE – L’AMORE E LA VIOLENZA, UN’INTERPRETAZIONE

 THE MUSIC COVE a cura di Alexander Amorino Lov 

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E’ da ottobre che mi crogiuolo su quale sarebbe stato l’articolo targato 2017 che avrei proposto a voi lettori di Magazzino26. Mi sono detto: “adesso faccio un articolo paraculo sulla classifica dei migliori brani 2016” poi ripensandoci mi sono dato uno schiaffo in faccia (virtuale) e ho pensato “vabbé verrà prima o poi l’ispirazione” e in effetti è arrivata proprio oggi quando, riflettendo bene sul da farsi ed escluso l’ennesimo necrologio commemorativo a Bowie, ho sbirciato la mia playlist di Spotify e ho scorto l’album dei Baustelle dal titolo “L’amore e la violenza” che mi ha subito catturato per la copertina retrò che proponeva.

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Sono da sempre un loro fan, li ho già visti due volte dal vivo insieme e una volta Rachele soltanto, in occasione del tour che sponsorizzava il suo EP solista. A tre anni dal precedente “Fantasma” torna il trio di Montepulciano con un disco molto brioso e più allegro rispetto le atmosfere noir horrorifiche tributate nel precedente long-playing. Qui le drum machines, i battiti e i campionamenti sono più incisivi e ammiccano all’arcinota retrowave anni 80 coniugando ed amalgamando un cantato ormai marchio di fabbrica della band: la sensorialità degli anni settanta. Le voci di Francesco e Rachele si incastrano alla perfezione e non si sentiva una tale sintonia ed estro dall’album “Amen” che rimane, a mio avviso, l’ultimo disco davvero innovativo e sperimentale senza disdegnarne l’operazione commerciale di fondo che lo contraddistingueva.

L’album si apre con un intro “Love” che racchiude in poco meno di un minuto la poetica dell’album prima di sguinzagliare un brano come “Il vangelo di Giovanni” che ha un’impronta chansonnier innegabile e ben costruita attorno a un tributo fortemente Battiatesco. I Baustelle sanno mescolare elettronico con analogico risultando sempre freschi anche quando magari la rotta è nient’altro che una dichiarazione di continuità dei due lavori precedenti. Poi viene “Amanda Lear” con la sua vena sfacciatamente pop e radiofonica che traina l’uscita del disco e che sono certo metterà d’accordo tanto i vecchi quanto i nuovi proseliti intessendo una melodia synthpop piacevole e mai noiosa… e che dire del testo? Un vero gioiello di scrittura cantautoriale che sembra, presa fine a se stessa, un prestito al compianto De André.

 

“Eurofestival” è una canzone rock, ma talmente rock che ti prende in giro e non solo per il contesto lirico ma anche per gli assoli di chitarra elettrica che campeggiano la lieder, quasi a pennellata su tela e poi finisce e poi ricomincia e poi s’interrompe. Davvero geniale. “Basso e Batteria” invece è dominata da un ripetitivo riff quasi videogioco per poi riprendere il gusto baustelliano per la reinventiva del cantautorato moderno, tenendolo leggero ma fruibile, declinandolo in attuale, mantenendone il vintage che lo identifica già dal primo ascolto.

Rachele è in forma smagliante, entra ed esce dal cantato, non più di soppiatto, ma con grazia e creando un parlato, un dialogo, con Francesco che imperla ciascuna traccia di quel mistico sensuale che fin dal “Sussidiario” era stato il loro marchio di fabbrica. Ora, non siamo ai livelli di quei primi lavori, ma siamo a uno stato di consolidamento artistico necessario senz’altro a un lavoro in divenire e, sono certissimo, che il prossimo album sarà qualcosa di assurdamente fantasioso e stupefacente, perché ascoltando quest’ultima loro fatica, sembra quasi di tirare una riga sotto una mera operazione matematica e, tirate le somme o meglio il summa, che finora hanno battuto, c’è solo da aspettarsi una rivoluzione, non più dettata dall’innovazione, ma da una maturità che si sente fare capolino ma, senza mai approdare impetuosa in questo lavoro. Dodici tracce gustose, quasi un concept album perfettamente nascosto negli arrangiamenti precisi e curati, che dettano un filone commerciale senza sbugiardarsi nello scontato. Non rimane che accaparrarsi un biglietto per uno dei loro concerti per vedere confermate oppure no, le promesse di incendiamento del palcoscenico.

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