NERO

A cosa penso quando penso al nero?

Subito lo associo a qualcosa di non bello: nel momento in cui intendo rafforzare una situazione negativa, uso l’aggettivo nero. Una giornata nera. Il fatidico venerdì nero del Ventinove. Lo stesso vale per definire una sfortuna al quadrato, meglio definita jella che diventa una jella nera, o per una persona dall’animo cattivo, pericolosa a sé e agli altri, non esitiamo ad etichettarla come un’anima nera. Per cui ho sempre trovato assai ridicolo il dettame del politically correct per cui anche in italiano si usa nero al posto di negro, che altro non è che l’aggettivo latino. In spagnolo poi non esiste differenza.

Subito dopo mi viene in mente l’opera al nero: nel mondo alchemico, così ben descritto da Marguerite Yourcenar, l’opera nera (opus nigrum) è la fase della spoliazione delle forme, della dissociazione degli elementi e della purificazione della materia. Il protagonista del romanzo, che ha trovato rifugiato in un monastero sotto mentite spoglie, si rende conto, nella dinamica della trasformazione della materia, di essere egli stesso l’ opera trasformata. Gli è chiaro quindi che dovrà attraversare la fase della ‘nigredo’ per rendere puro il proprio essere dalle filosofie e teologie imperfette del proprio tempo. Una volta compiuto questo rito di trasformazione, potrà il nostro protagonista, accedere a una diversa cognizione del mondo e di se stesso.

Anche in questo caso il nero, nello specifico l’immersione nel nero, lo collochiamo in quella dimensione ineffabile in cui si confondono i confini tra il bene e il male e i contorni e le relazioni spaziali tra le cose assumono rapporti inediti e paradossali.

Il nero è il colore che crea immediatamente illusione ottica. Tant’è che da sempre esiste il teatro nero, il cui principio si fonda proprio sull’illusione ottica, sul trucco visivo della stanza nera, che sfrutta l’imperfezione dell’occhio umano. L’oggetto o il corpo nero sullo sfondo nero non può essere percepito dall’occhio umano. Il gioco di questo tipo è molto semplice da realizzarsi sul palcoscenico. Gli attori, completamente vestiti di nero, agiscono sullo sfondo nero. Dalla platea gli spettatori non distinguono gli attori dalla sfondo e, proprio per questa ragione, gli oggetti e gli attrezzi mossi dagli attori vestiti di nero prendono una stupefacente capacità di movimento autonomo davanti agli occhi degli spettatori. Il teatro è soprattutto stupore e il fatto che oggetti inanimati si tramutino in oggetti animati, fa sì che si riproduca quel miracolo chiamato azione scenica.

Il teatro nero ha la sua origine nell’ombra che è l’equivalente del nero: i cinesi usavano le luci delle candele per le loro rappresentazioni teatrali, ottenute dall’ ombra delle silhouette proiettate su uno schermo in tela bianca. L’ombra ovviamente è di color nero, è sovente foriera di pericolo, paura dato che l’oscurità e la tenebra le associamo al male, contrapponendola alla luce che simboleggia il bene e il progresso.

Ora chiudo facendomi un’altra domanda: come è possibile con tutte questa teoria di valenze negative che il nero si porta dietro, sia di fatto il colore dell’eleganza più sofisticata?

a cura di Enrico Pulsoni

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