Tag: fashion

  • MULES FENDI

    MULES FENDI

    Weekly love by Nicola Luccarini.

    Ogni settimana Magazzino 26 sceglie per te qualcosa, sicuro “MUST HAVE” da qui a pochi giorni. Sarà protagonista indiscusso dei look più intriganti e glamour delle donne meglio vestite del nostro pianeta!

    Oggetto del desiderio di questa settimana, per noi sono Le MULES: aperte sul tallone tacco basso e punta chiusa saranno l”ideale per questo periodo di ripresa. Efficaci e chic per un outfit cittadino e di lavoro ma anche per chi ancora si muove tra le mure domestiche Un accessorio elegante e per niente impegnativo; un tocco glamour “tranquillo”, senza il desiderio e la necessita’ di mostrarsi agli altri. Un piccolo artificio per rinnovare la propria immagine senza stravolgere gli otfit che ci aspettano nel guardaroba. Sono tante le proposte per questa primavera. Dovendo sceglierne una, abbiamo optato per questa di Fendi, in pelle nera, logata, molto a punta.. forse un pochino “aggressive” ma dannatamente bella!

  • FILOSCOZIA ATTITUDE SS COLLECTION 2019

    FILOSCOZIA ATTITUDE SS COLLECTION 2019

    Per il Pitti Filati Gennaio 2019 è stata presentata una collezione Primavera / Estate interamente realizzata con filato Filoscozia, dai toni vividi e lucenti. Outfit casual, sportivi e assolutamente unconventional. Così il fashion designer Nicola Luccarini ha voluto esprimere l’originalità e la versatilità di questo filato adattabile ad ogni tipo di capo dalla calzetteria alla camiceria.

    Filoscozia è un filato in cotone di altissima qualità dove l’eccellenza della materia prima è intrinsecamente legata a processi di nobilitazione all’avanguardia. Qualità ed eccellenza per un filo unico al mondo, grazie alle sue proprietà e caratteristiche, versatile ed affidabile. Dalla maglieria e tessitura fino alla calzetteria, Filoscozia è adatto a molte lavorazioni, con elevate prestazioni che perdurano anche dopo numerosi lavaggi. Filoscozia è naturale cotone egiziano raccolto a mano e rispettoso dell’ambiente.

    Filoscozia si sintonizza sulla moda e sulle sue continue evoluzioni. L’applicazione creativa e funzionale di questo prodotto in tutti i settori tessili lo rende un must per ogni stagione. Il suo spirito evolve in una costante ricerca d’innovazione e competitività esplorando nuovi orizzonti e adattandosi ai nuovi trend che modellano il mercato.

  • MOON BOOT VERSIONE ESTIVA

    MOON BOOT VERSIONE ESTIVA

    ABOUT FASHION  >>>>  dal WEB dal MONDO

    Potremmo pensare mai di indossare i Moon Boot in estate ? Sorridiamo sicuramente solo al pensiero. Dalla prossima estate però ci sarà poco da sorridere perché vedremo sicuramente qualcosa di nuovo. Infatti a Firenze durante i giorni di Pitti e nel 50° anniversario dell’azienda, Moon Boot lancia la sua prima collezione footwear spring / summer. Moon Boot, marchio conosciuto per essere lo stivale invernale per antonomasia, ha voluto stupire. Una cosa possibile con la spring summer version composta da 4 modelli fra cui 2 ciabatte, una infradito e un boot basso con tessuti traspiranti, membrane rinfrescanti e materiali ad alta tecnologia specifici per il caldo.

    Una nuova avventura comincia grazie all’introduzione della linea estiva, con l’intento di stupire e coccolare per i prossimi cinquantanni. I quattro nuovi modelli, tutti molto diversi fra loro ma mantengono i tratti inconfondibili del brand, dall’allacciatura incrociata alla cucitura rigirata della suola, alla fascia con logo.

    Si distingue il nuovo modello, il Mars Boot, in colori fluo e metallizzati, realizzato in nuovi tessuti come il raso, la rete e membrane rinfrescanti. Aspetteremo l’estate 2020 per veder sfoggiare questo nuova versione Moon Boot.

     

  • WINTER AFFAIR

    WINTER AFFAIR

    Più passa il tempo e più  sembra che giornate, mesi e stagioni scorrano ad una velocità incredibilmente impressionante… Parlando di moda le proposte dei fashion designer si susseguono con altrettanta ritmo. Così, in un baleno ci stiamo inoltrando verso le più fredde giornate del’anno e MAGAZZINO26 non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di proporvi qualche suggerimento per rendere i vostri outfit ed il vostro make-up,  contemporaneo e sempre più  glamour! Follow us, please! 

    Photographer: Andrea Chemelli
    Styling : Nicola Luccarini per Magazzino26
    Make-up: Jenny Rosales

    Special thanks to:

    per gli abiti Le Coco e New Deal  Bologna

    per i gioielli Africa Design

  • L’ASIA IMMAGINATA DA YVES SAINT LAURENT

    L’ASIA IMMAGINATA DA YVES SAINT LAURENT

    a cura di Alessandro Martinelli

    Yves Saint Laurent nel suo appartamento al 5 di Rue de Babylone (1977)

    « J’ai abordé tous les pays par le rêve. » Yves Saint Laurent

    Fino al 27 Gennaio 2019, il musée Yves Saint Laurent Paris, inaugurato nell’ottobre 2017,  ospita la prima di una serie di mostre temporanee dal titolo “L’Asie rêvée  d’Yves Saint Laurent “, che presenta circa 50 modelli haute couture ispirati all’India, alla Cina e al Giappone. Tali capi dialogano dinamicamente con oggetti d’arte asiatici presi in prestito dal Museo Nazionale delle arti asiatiche Guimet e da collezioni private, in modo tale da offrire uno spaccato inedito dell’opera del coututier franco-algerino.

    Grazie ai suoi viaggi immaginari, Yves Saint Laurent ha costruito una visione da sogno di terre lontane, filtrate attraverso la conoscenza che  è nata dalle sue letture e dallo studio diretto degli oggetti d’arte esotici, studiando approfonditamente i costumi locali, esplorando il folklore e superando gli stereotipi al fine di proporre una visione sublimata delle tradizioni di popoli mitici. Tra tutti gli esotismi, l’Asia occupa un posto particolare di cui lo stilista propone una visione a tratti letterale e a tratti sublimata. Durante tutta la sua carriera, ha rielaborato i costumi tradizionali per dare vita alle sue creazioni di alta sartoria.

    Bozzetti di Yves Saint Laurent

    « Il me suffit de regarder un très beau livre sur l’Inde pour dessiner comme si j’y avais été. C’est le rôle de l’imaginaire. » Yves Saint Laurent

    L’India è una delle fonti di ispirazioni maggiori della produzione di YSL: la sua conoscenza proviene essenzialmente dai libri che possiede e fin dalla sua prima collezione couture (Primavera/estate 1962) reinterpreta gli abiti del guardaroba reale dell’India del Nord, rendendo femminile il tradizionale cappotto indiano. Ha sviluppato, così, un gusto per preziosi broccati in seta oro, per ricami in metallo in rilievo e per sofisticati  bottoni gioiello, presi in prestito dai costumi principeschi della dinastia Moghul , che regnò in India dal XVI al XIX secolo.  Lo stilista reinterpreta l’uso dei bijoux di questi ultimi riprendendo il boteh, emblema floreale a forma di palma del potere reale, che viene usato allo stesso modo come ornamento dei sarpech (turbanti).

    Nella collezione Haute Couture Primavera/estate 1982, detta “Indienne”, sono presenti più di venti abiti da sera, abiti e completi in cui l’uso del bolero maschile indiano è arricchito da bordi riccamente lavorati, da passamanerie e da pietre e contrastato da fastose gonne in faille di seta moiré. Forti sono le contrapposizioni di colori complementari come il blu vivo e l’arancione saturo, equilibrata è la silhouette basata sul rapporto delle proporzioni e sui tagli magistrali e decisi.

    A sinistra: tailleur da sera corto, (HC P/E 1982) A destra: abito da sera lungo (HC A/I 1969/70)

    Nella sua ultima collezione, presentata al Centre Pompidou nel Gennaio 2002, il designer propone alcuni abiti leggeri drappeggiati che riecheggiano la foggia dei sari, costumi tradizionali dell’India hindu del Sud: di leggera mousseline, donano al corpo femminile una grazia e una sensualità uniche, grazie al gioco di vedo-non vedo molto discreto. Nella mostra, le creazioni di YSL sono affiancate da sontuosi abiti del XVIII-XIX secolo, da una statua equestre in argento nonché dai portoni dei grandiosi palazzi del Rajasthan, i cui ornamenti ricordano quelli riprodotti da Yves.  I rimandi estetici traspaiono inoltre nei bozzetti originali che sono posti accanto a antiche miniature.

    Tre capi della collezione HC Primavera/estate 1982

    « Pékin, cependant, reste un souvenir éblouissant. Cette Chine, que j’avais si souvent interprétée dans mes créations, je l’ai trouvée exactement telle que je l’avais imaginée. Il me suffit d’ailleurs d’un livre d’images pour que mon esprit se fonde dans un lieu, ou un paysage. […] Je n’éprouve aucun besoin de m’y rendre. J’en ai tellement rêvé… » Yves Saint Laurent

    La prima volta e ultima che il creatore giunge in Cina è per la mostra personale a lui dedicata nel 1985: il suo amore per questo paese traspare dalle collezioni di libri, film o oggetti d’arte collezionati assieme a Pierre Bergé, che ispirano la creazione di volumi ampi, storicamente simboleggianti la status sociale di chi li indossava. Riecheggiando le giacche tradizionali indossate dalle donne dell’etnia Han (originaria della Cina continentale), Ysl mantiene di questo capo solo il taglio e le maniche importanti, mentre la costruzione dell’indumento rimane tipicamente occidentale. L’ispirazione cinese sembra soprattutto rispettare la tradizione dell’opera di Pechino, che non cerca di riproporre una veste in modo autenticamente fedele alla tradizione storica  ma di produrre un effetto estetico, evidenziando i movimenti degli attori.

    « Des fumées de mon cerveau déchiqueté ressurgissent toutes les dynasties, leur fureur, leur arrogance, leur noblesse, leur grandeur. Je parviens enfin à percer le secret de la Cité impériale d’où je libère, mes fantômes esthétiques, mes reines, mes divas, mes tourbillons de fête, mes nuits d’encre et de crêpe de Chine, mes laques de Coromandel, mes lacs artificiels, mes jardins suspendus » Yves Saint Laurent

    Il primo gioiello d’ispirazione cinese creato da Yves è un girocollo, un disco di resina rossa attraverso cui passa un cordoncino di passamaneria nera che termina con un pompon di seta: risale alla collezione Haute Couture Autunno/Inverno 1969/1970 ed è indossato con una tuta di jersey nera a maniche corte. Un anno dopo, si ritrova un accenno al costume cinese nella Collezione Haute Couture Autunno/Inverno 1970/71: mantelli di camoscio ricamato indossati con gli stivali e dei cappelli con lunghe piume di fagiano, completi marocchini, tuniche indiane, ensemble ricamati con fiori di ciliegio, turbanti e scarpe con la zeppa presi in prestito dagli anni Quaranta e sette completi di satin e velluto di seta con fiori e farfalle multicolori, che evocano le vesti d’ispirazione mancese e quelle di foggia qypao, tipiche della Shanghai anni Trenta.

    Capi della collezione Haute Couture Autunno/Inverno 1970/71

    I tessuti  accarezzano con fluidità il corpo, le bluse sono lunghe e hanno la manica a T, il colletto, invece, con la sua chiusura sul lato, evoca le vesti “dragone” della dinasta Manchu. La passione per il Sol Levante raggiunge il suo massimo apice nel 1977, un anno dopo la collezione chiamata “Ballets Russes”, con la sua collezione “Chinoise”: 132 modelli opulenti e a tratti folli, che non strizzano l’occhio soltanto alla Cina, ma anche ai boiardi, alle creature della steppa, alle “cocottes” semi vestite in satin di seta e pizzo. Sulla testa cappelli a forma di cono, importanti tocchi di pelliccia, fiori e cappelli ornati di piume, che si rifanno al movimento punk di quegli anni. L’ispirazione cinese traspare attraverso il taglio, la scelta dei colori e dei motivi, ma anche attraverso i tessuti e le rifiniture. I tagli dritti, i volumi e le maniche ampie e decise sono declinate nei toni del nero, del rosso aranciato e dei viola saturi arricchiti con dettagli dorati; negli abiti floreali, invece, lo spettro cromatico è utilizzato in tutto il suo potere ed è dominato dal blu, dal verde, dal violetto e dal rosa.  La seta occupa un posto privilegiato all’interno della collezione, declinata nel satin e nei velluti lisci o lavorati: abbondante è l’uso del filo e della lamina dorata, nonché dei tessuti cerati matelassé o ricamati, che richiamano la cera-lacca inventata da questo straordinario popolo.

    Capi della collezione Haute Couture Autunno/inverno 1977/78

    « Si j’ai choisi Opium comme nom pour ce parfum, c’est que j’ai espéré intensément qu’il pouvait, à travers toutes ses puissances incandescentes, libérer les fluides divins, les ondes magnétiques, les accroche-coeurs et les charmes de la séduction qui font naître l’amour fou, le coup de foudre, l’extase fatale lorsqu’un homme et une femme se regardent pour la première fois. » Yves Saint Laurent

    Bozzetti originali di YSL (1977)

    Nell’ottobre del 1977, Yves Saint Laurent organizza il lancio del suo nuovo profumo Opium: da colto esteta, è profondamente coinvolto nella creazione di questo profumo, disegnando, descrivendo e validando ogni fase del processo produttivo, dalla creazione della confezione alla cartella stampa.

    I vari progetti della bottiglia, pensata assieme a Pierre Dinard, partono dalla riproduzione degli inro giapponesi del periodo Edo o dell’epoca Meiji (XVII-XIX sec.), mentre la campagna pubblicitaria è trasgressiva e di forte impatto: la fotografia di Helmut Newton con Jerry Hall  e lo slogan provocatorio “Opium, per coloro che si abbandonano a Yves Saint Laurent” creano un forte desiderio ma anche uno scandalo di proporzioni inaudite.

    Bozzetto per la bottiglia di “Opium”

    Opium entra nel mercato americano nel settembre 1978 con una spettacolare festa di lancio organizzata su un battello chiamato “Peking” ormeggiato sul porto di New York. L’American Coalition Against Opium and Drugs diede vita a una campagna di boicottaggio del prodotto, affiancata dalla comunità cinese che vedeva nel nome una provocazione diplomatica. Nonostante questo, tale fragranza è rimasta nei decenni una delle più vendute della storia della profumeria commerciale.

    Cartella stampa per la presentazione di “Opium”

    « Très tôt je suis allé à la rencontre du Japon et tout de suite j’ai été fasciné par ce pays ancien et moderne et j’ai, depuis, à diverses reprises subi son influence. D’autres avant moi connurent cette admiration : Monet, Van Gogh et tous les artistes art-déco qui furent si importants à notre époque. Aujourd’hui, le Japon ne cesse de grandir et a réussi le miracle suprême de célébrer les noces du passé et du présent. » Yves Saint Laurent

    Abiti della collezione Haute Couture Autunno/Inverno 1994/95

    Nel 1963, meno di due mesi dopo aver aperto la casa di haute couture, Yves Saint Laurent e Pierre Bergé si recano in Giappone per presentare la collezione primavera-estate con l’aiuto di Hiroshi Kawazoe, rappresentante per la casa di Yves Saint Laurent in Giappone e di Bergé amico personale. Visitano Tokyo e Kyoto, dove hanno ammirato i celebri fiori di ciliegio (sakura) insieme a cortigiane vestite con brillantissimi kimono.

    Saint Laurent e Bergé possedevano una collezione di scatole laccate e mobili (urushi), la cui decorazione in polvere d’oro (maki-e) mostrava una notevole tecnica. Le ceramiche che acquistarono furono principalmente pezzi di porcellana decorati con fiori e piante, a testimonianza della intrinseca connessione della gente giapponese con la natura. La maggior parte di questi lavori furono acquistati in Francia attraverso antiquari e galleristi, mentre alcuni furono commissionati in Giappone.

    Affascinato dall’epoca Edo (1600-1868), durante la quale l’arte si è progressivamente affrancata dal potere imperiale, e dal teatro Kabuki, Yves  ha più volte rivisitato l’abbigliamento tradizionale giapponese, il kimono.  Dalla forma a T,  dona a questo capo una versione che mantiene la fluidità delle linee con una falda incrociata sull’altra, accompagna la silhouette nel movimento anziché vincolarla.  Pur rispecchiando la quintessenza ancestrale  del Giappone e la sua delicata raffinatezza,  l’interpretazione del kimono da parte dello stilista è comunque una vera e propria creazione originale che rende omaggio alla grazia delle cortigiane che vagano per le strade di Gion, area riservata di Kyoto. Gli ensemble serali della collezione Autunno-Inverno 1994 rendono omaggio al Giappone citando letteralmente i kimono. Il tradizionale indumento interno divenne un cappotto cerimoniale indossato sopra un vestito. Le passamanerie ricamate con perline seminali sostituivano le cinture e venivano abbinate a kimono lunghi e corti. I tessuti lamé di seta trapuntati e stampati per questi capi sono stati creati dalla Maison Abraham e sono simili ai tessuti tradizionali del distretto di Nishijin, in cui strisce di carta dorata sono inserite nella trama di fondo.

    Giacca della collezione Haute Couture Primavera/estate 1988

    Una serie di sette abiti da sera in crêpe di georgette della collezione autunno-inverno 1970 sono ispirati al Giappone. Basati su una forma semplice e dritta e con un’apertura laterale per alcuni, sono stati realizzati in colori scuri come il rame, il nero, il blu marino e il blu-verde. L’influenza giapponese è stata convogliata nei motivi ricamati che decorano questi disegni, che includono fiori di ciliegio (sakura), glicine (fuji), fiori di pruno (ume) e canne, e ricordano il fogliame giapponese raffigurato in stampe e oggetti decorativi. Altri due disegni in colori chiari – un vestito e una giacca – tunica in raso di seta sono ricamati con farfalle e rami di fiori di ciliegio. Molti di questi capi sono stati impreziositi da girocolli in metallo dorato a forma di farfalle e realizzati dall’artista Claude Lalanne. La natura occupa un posto di rilievo nell’arte giapponese:  in particolare, gli iris sono spesso raffigurati in stampe, interni di templi e tessuti. Si trovano in particolare sugli straordinari schermi pieghevoli di Ogata Korin (1658-1716) e nelle stampe di Katsushika Hokusai (1760-1849). Dopo l’Esposizione Universale del 1867, in cui il Giappone era ufficialmente presente per la prima volta, nacque il movimento Japonisme, che  ha influenzato artisti come Vincent van Gogh (1853-1890), la cui pittura Iris del 1889 (tenutasi al J. Paul Getty Museum di Los Angeles) ha reinterpretato la serie di Iris e Cavalletta di Hokusai. Saint Laurent ha proseguito sulla stessa linea quando, per la collezione primavera-estate 1988, ha disegnato una giacca ricamata dalla Maison Lesage con ricamata la pittura di Van Gogh e, in tal modo, mutua più ampiamente dall’immaginario giapponese.

  • H&MOSCHINO, QUANDO IL LUXURY DIVENTA POPULAR

    H&MOSCHINO, QUANDO IL LUXURY DIVENTA POPULAR

    G di Glam a cura di Gerardo Carretta

    H&Moschino: il  fast fashion diventa luxury con la capsule firmata Jeremy Scott.

    Da Mickey Mouse alle stampe iconiche è online in anteprima il look book della capsule collection tanto attesa. Il re del fast fashion svedese, H&M che vive nel motto “Moda a basso costo” come ogni anno diventa luxury. Questo grazie ad una capsule collection pronta a stupire tutti gli addicted.

    Quest’anno è stato Jeremy Scott creative director per Moschino a realizzare la collezione che si preannuncia un successo sul mercato e non solo, puntando a diventare per l’azienda una tra le più amate collaborazioni di sempre.

    Eccentrica, luminosa e a tratti quasi esagerata. È il fashion concept di Jeremy ad emergere con prepotenza ricco di stampe, “ lustrini” e tanta simpatia a tratti un pó vintage, grazie alle salopette straight che sanno un pó anni 80 ed alle stampe; si pensi il cd, elemento ormai quasi sconosciuto alle nuove generazioni.

    Non mancano i” must have”e come il l’orsetto “I’m not a Moschino toy” o la t-shirt basic nera dove alla stampa” Moschino” si aggiunge un’H diventando “HMoschino”. Stupenda!!La voglio!!

    La collezione si profila come “No Gender”, nel vero spirito della multinazionale svedese sempre vicina e sensibile alle cosiddette “minoranze” e “diversità”.

    Tra i capi più rappresentativi troviamo il bomber glitterato oro e la sua versione maxi in glitter silver. Merita attenzione anche il maxi Backpack nero, dalla foto ingannevole sembra un piccolo zainetto ma in realtà è magnificamente grande.

    I prezzi? Più bassi rispetto alle precedenti capsule, si va dai € 59,00 per una felpa fino ai € 500,00 per i capi più importanti. Un sold out annunciato quindi! Staremo a vedere! Nel frattempo godiamoci la gallery dedicata.

    Io come sempre torno prestissimo.

    Vostro G

  • JESÚS DEL POZO

    JESÚS DEL POZO

    a cura di Alessandro Martinelli

    Diana Gartner e Jesús Del Pozo al termine della presentazione della collezione Autunno/Inverno 2001/02

    Gli aquiloni di Jesús Del Pozo

    Alla scoperta di uno dei talenti madrileni più riconosciuti al mondo, vincitore di numerosi premi nel campo delle arti e del design. Come per Cristóbal Balenciaga e Mariano Fortuny y Madrazo, da sempre riconosciuti come suoi maestri universali, Del Pozo è profondamente legato alle radici spagnole e alle antiche tradizioni: i suoi abiti possono essere descritti come “avant-garde e sofisficati”, ingannano per la loro apparente semplicità e sono dotati di una grande raffinatezza, che avvicina l’artista alla corrente artistica strutturalista, dove ogni elemento non è considerato nella sua singolarità, ma come parte di un sistema basato su un insieme di relazione tra gli elementi stessi. Jesús Del Pozo, madrileno di nascita, classe 1946, fin dalla tenera età ha sempre dimostrato interesse per rimodellare e plasmare tutto ciò che incontra.

    Desde que nací recuerdo haber hecho cosas con las manos, haber dibujado y pintado: recuerdo haberme educado en el arte, intentando entender lo que no entendía […] esto me ha dado un poso que se refleja en mis piezas textiles”.

    Vestito di seta cruda (P/E 1999) Vestito “Vaso” (A/I 1995-96) – Vestito “Ballerina” (A/I 1995-96)

    Durante i suoi studi di Interior Design, sperimenta e comprende tutte le possibilità di colore, forma, volumi e consistenza che un tessuto può sviluppare dando forma a una vera e propria poetica dell’indumento. Il sogno è il tema ricorrente di tutte le sue creazioni presentate nel corso degli anni tra Madrid, Tokyo e Parigi, declinato attraverso strutture essenziali e pure, ma dalle deliziose lavorazioni sartoriali. La sua moda “avant-garde” e sempre coerente ha come leit-motiv la ricerca della qualità e di una sofisficata naturalezza, che può essere apprezzata a stretto contatto con i materiali da cui è composta. Il suo stile è ingannevolmente semplice, sottilmente seducente, serio e raffinato: non è soltanto una scelta estetica, ma una vera e propria filosofia personale. Tutto è plasmato attraverso il colore, la struttura e un approccio sofisticato, mai superficiale: le forme sono sobrie, i volumi sono rigorosi. Il suo lavoro è pura creazione e avvicina la moda a una forma d’arte contemporanea, che difficilmente si può conciliare con i convenzionali trends del mondo della moda.

    A/I 2010/2011; A/I 2006/07; A/I 2005/06

     

    Violeta Sanchez rintratta per Del Pozo da Javier Vallhonrat (1988)

    La geometria delle linee, l’attenzione ai dettagli e la meticolosità nella rifinitura si ricollegano alla lunga tradizione spagnola nella moda e nell’arte e stabiliscono una forte connessione con le opere di due grandi artisti che storicamente lo hanno preceduto: Cristóbal Balenciaga e Mariano Fortuny y Madrazo. La sua visione estetica unitaria ha contagiato diversi aspetti del design: dai gioielli ai profumi, agli occhiali, all’ arredamento per la casa, ai tessuti, ai tappeti, alle uniformi, agli abiti per bambini o da sposa, ai costumi teatrali e alle scenografie, ecc…; come affermato in numerose interviste, il suo processo creativo è spontaneo e naturale e nasce dal desiderio di generare il nuovo sostituendo il già esistente.

    Il suo primo negozio, nei toni del beige e del rosso sulla Calle Almirante, aperto nel 1974, diventa espressione del suo spirito pionieristico e intraprendente e ben presto il rifugio per le persone “cool” di Madrid. La moda diventa veicolo di cambiamento sociale, culturale e politico: lasciando alle spalle la cupa Spagna della dittatura franchista, la “nuova Spagna” comincia a esplodere e a manifestare la nuova identità a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. I “nuovi creatori” sono sulla bocca di tutti, si anima la “movida” e la vita notturna, emergono le collezioni galiziane, le idee che provengono da Barcellona hanno un forte impatto rivoluzionario; lo stesso fenomeno si sviluppa nella moda, con le giovani donne vestite da Francis Montesinos a Valencia, Toni Mirò a Barcellona e Jesús Del Pozo a Madrid. La moda spagnola acquista consapevolezza, forgia e materializza il suo nome, anche se è ancora vista con una certa perplessità e le difficoltà contingenti sono molte.

    Il lavoro di designers come Del Pozo nasce nello sviluppare quello che sarebbe diventata la moda spagnola attuale, ossia sinonimo di un design di qualità e durevole, dall’estetica fantasiosa.

    Abito della collezione 1987

    I capisaldi del suo lavoro sono principalmente tre:

    1- il volume, che significa rimodellamento e controllo dello spazio.

    I suoi vestiti non sono però costumi, sono piuttosto aerei “aquiloni” o “sculture abitabili”, in ogni caso opere d’arte autentiche. Il riferimento alle forme della natura è forte, così come ai suoi maestri: ad esempio, le “mujeres cuencos” (le donne bocce) della fine degli anni 80 sono un chiaro riferimento alle creazioni a palloncino di Balenciaga. In ogni caso, la gestione mai improvvisata ma comunque naturale del volume ha permesso di essere avanti con i tempi a lui contemporanei e di riesaminare la percezione della forma scultorea e delle trame contrastanti. Jesús procede instancabilmente a smantellare alcuni vecchi pezzi per produrne di nuovi: in questo modo son stati prodotti alcuni dei pezzi più spettacolari degli anni 90, che hanno generato nuovi e complicati standard per le collezioni successive. La geometria tridimensionale viene realizzata con i tessuti più disparati: dai tessuti più rigidi alla più eterea e sottile seta o voile di cotone, quest’ultimo scelto per realizzare gonne a spirale con una trama simile alla carta.

    2- la ricerca e l’attenzione alla materia che carezza la pelle: tessuti con ordito di metallo, rasi, iuta, sete, popeline, lini, sete grezze.

    P/E 2010
    Nieves Alvarez sfila per la collezione A/I 2000/01

    Una forte predilezione per i tessuti naturali, che negli ultimi anni ha lasciato il posto anche alla riscoperta delle componenti sintetiche.

    La superficie materica non è mai liscia, ma sempre manipolata, caratterizzata da solchi o incidenti intenzionali, come dimostrano le scomposizioni dei capi degli anni Novanta. Qua emerge l’affinità con Fortuny, che interveniva direttamente sul tessuto attraverso l’uso di stampe, stencils, pieghe e coloranti. Del Pozo ha lavorato con i lini sin dalle sue primi collezioni maschili negli anni 70, in un periodo in cui era difficile trovarli sul mercato, contattando direttamente una fabbrica di Saragozza che produceva biancheria per la tavola. I suoi tessuti preferiti erano piqué, cotone e sete grezze, che utilizzava copiosamente per realizzare giacche da uomo. La scelta del tessuto avveniva in modo oculato, privilegiando l’esperienza tattile.

    Lo stesso designer amava affermare:“A volte devi ascoltare un tessuto e cedere ad esso, e altre volte lo devi contraddire. “

    Talvolta utilizza qualcosa di povero come la iuta come principale materiale per realizzare un capo lussuoso, manipolandolo sapientemente attraverso la tintura o la scoloritura e trasformandolo in qualcosa di totalmente nuovo: un esempio in questa direzione sono gli abiti da sposa di iuta, taffeta di seta e tulle di cotone. Come ai loro tempi Tàpies, Miralles e altri hanno trasformato i loro quadri in superfici ruvide, a metà degli anni ’80 le scomposizioni degli abiti (“disossamenti”) e le trecce cominciano a emergere nelle gonne, nei cappotti e negli abiti di Del Pozo.

    Le trecce sono realizzate in cotone di spessori diversi e vengono applicate lungo gli orli delle gonne in voile o per delineare le varie parti delle gonne a palloncino, a volte nascoste, altre volte visibili, come nei suoi abiti da sera di velluto dalle silhouettes morbide, in totale assenza di corsetti e costrizioni. La stessa filosofia è stata applicata per realizzare effetti di screpolatura: segmentando e suddividendo gli orli irregolari delle gonne di seta come se fossero foglie secche spezzate dal vento o, in alternativa, utilizzando le trecce attorno a un colletto elastico in velluto su un lungo cappotto di lana. Le nervature di alcune collezioni ricordano, invece, i campi appena arati della Castiglia, diventano impronta e trademark, donano valore e contenuto all’opera.

    Ana Belén, musa ispiratrice di Del Pozo

    3- il colore, che illumina e impreziosisce ogni creazione.

    La sperimentazione del design include anche il colore, la tavolozza che sceglie per le sue collezioni. Sin dagli inizi, ha deliberatamente e incessantemente manipolato tonalità polverose o miste, la sua percezione vira verso le palette medie, non usa mai colori forti ma è sottilmente attratto dalle sfumature impercettibili. I suoi colori sono studiati, ricercati e ricreati partendo dalla miscela di toni diversi per arrivare ad ottenere l’effetto desiderato di ombreggiatura o di luce da donare al capo. Questa ricerca intenzionale per una tonalità dà il tocco finale alle sue collezioni, in cui ognuno dei colori usati è in perfetta armonia di insieme. La sua aspirazione massima era un lusso poetico e intimo , un regalo per i sensi, una esplorazione della complessità dei contenuti e delle forme.

    P/E 2009: P/E 2007; P/E 2006

    L’evoluzione del suo stile è sempre stata sottile ma costante, così come la definizione dei volumi: silhouette dritte e allungate negli anni Settanta, donne fiore e linee a ciotola negli anni 80 e 90, figure filiformi negli anni più recenti. Seppur lavorando nel ready-to.wear, realizza pezzi speciali così come omaggi ad alcuni artisti, primo tra tutti Antoni Tapiès negli Stati Uniti, senza mai abbandonare la sua indipendenza e i suoi tratti idiosincratici e combinando simultaneamente diversi progetti, quali ad esempio le uniforme per il RENFE o la Croce Rossa o le scenografie per le piéces di Emilio Sagi.

    Nel 1979 rifiuta una offerta da un gruppo americano perché non voleva lasciare la Spagna, sempre più consapevole della propria identità, della sua terra e della propria vultura.

    Nel 1999 Del Pozo è uno tra i creatori e fondatori de l’”Asociación de Creadores de Moda de España”, della quale assume il ruolo di Presidente fino a Dicembre 2000.

    Nel 2003 nasce la Fondazione “Del Pozo”e dal 2004 fino alla morte, avvenuta nel 2011, tiene il “Curso de Experto Profesional en Diseño de Moda: Prácticas Empresariales”: la fondazione è il nucleo vivo di un insieme di associazioni e università che hanno firmato convenzioni con essa e rappresenta un laboratorio di idea per le future generazioni di designers.

    Rappresenta una porta aperta in cui vedere un’impresa all’opera, dove lavorare con rigore e savoir faire, dove sviluppare progetti di moda o design in generale, e imparare il valore di un team le cui competenze sono perennemente aggiornate e che continua a operare attraverso la linfa vitale di giovani menti.

    P/E 2003; A/I 2000/01; A/I 2001/02

    Adesso la Fondazione ha più che mai il valore di diffondere i valori del padre formatore e far conoscere i numerosi aspetti della creatività made in Spain.

    Durante tutta la sua carriera di designer, Del Pozo ha pertanto riflettuto sulla struttura interna di un abito e sulla natura del corpo in tutte le sue molteplici forme. Non è mai stato gratuitamente interessato a incorporare elemeneti decorativi come semplici orpelli, ma ha dato voce alla laggerezza di abiti “weightless”, genuinamente luminosi o al contrario alla struttura corposa e rigida di certe costruzioni. Le sue composizioni cromatiche ricordano alcune opere di Rothko, dove combina mistero a “trasparenze sensibili”.La sua palette di colori terziari trasporta il nostro immaginario verso i campi arati della Castiglia, dove il paesaggio naturale fa eco al sottile e impalpabile paesaggio dell’anima. L’arte e il legame con essa si manifestano pertanto costantemente nella sua opera, seguendo il suo “modus operandi” con coerenza e consapevolezza, sia che si tratti di un tessuto, di una costruzione, di una superficie, di una cromia o di un volume, dove l’abito ha una natura intrinseca di opera scultorea.

  • SYBILLA SORONDO E LE SUE MILLE VITE

    SYBILLA SORONDO E LE SUE MILLE VITE

    a cura di Alessandro Martinelli

    Ripercorriamo la storia di una delle più celebri designers spagnole, che ha attraversato fasi alterne nel corso della sua carriera ma ha rappresentato una terza via nel mondo della moda degli anni Ottanta e Novanta, alternativa al minimalismo concettuale della moda giapponese e alla “femme-fatale” della moda francese.

    Ritratto della stilista Sybilla Sorondo

    Sybilla Sorondo Myelzwynska nasce a New York nel 1963 da padre diplomatico argentino e da madre polacca, stilista di moda nota con il nome di Countess Sybilla of Saks Fifth Avenue 2. Successivamente, si trasferisce a Madrid con il padre, dove, ancora giovanissima, inizia a creare costumi, basandosi su ciò che vede nei negozi. A 17 anni, parte per Parigi e trascorre un anno nel laboratorio di haute couture di Yves Saint Laurent. Il suo primo grande successo giunge nel 1981, a soli 18 anni.

    Raccolta di video di sfilate di Sybilla dal 1983 al 1985

    Durante la sua prima sfilata  al padiglione di Jacobo Siruela, nel 1983 stupisce  il suo pubblico per l’originalità dei 40 modelli presentati: è una sfilata semi-privata, dove mette in luce uno stile personale e accattivante. La collezione costituisce una sfida allo stile femminile della power woman, allora in voga. Sono pezzi avvolgenti, scomponibili, che carezzano il corpo nei colori della natura e  sono realizzati con tessuti trovati, quasi sempre, al mercato o nei negozi vintage. Questo evento attira nuove clienti che le commissionano capi su misura nell’atelier allestito in casa sua e diretto dalla sua modellista Carmen Andrés. Nonostante questo ingresso di successo nel mondo della moda,  nel 1984 Sybilla afferma:

    “Non voglio vendere ai negozi,

    Voglio realizzare pezzi unici, trasformabili,

    economici e personalizzati … “

     Invitata da Juan Antonio Comín, decide di sfilare al Salón Gaudí di Barcellona: in occasione di questa prima sfilata professionale, formerà il team di collaboratori che lavorerà  assieme a  lei per molti anni.

    “Lavoro nel seminterrato della mia casa con le  mie sarte “fate madrine”

    e gli amici  “volontari” che vengono di notte.”

    Progetta con la sua amica Gema, per l’imprenditore di Elche Rafa Boix, un paio di collezioni di scarpe che vengono presentate con successo alle fiere di Milano e New York sotto il marchio Sybilla e Gema. Tentata dalla possibilità di lavorare con mezzi economici maggiori, firma con il produttore Alberto Guardione un contratto di licenza: è così che inizia la produzione industriale delle collezioni di abbigliamento e la loro distribuzione a livello nazionale. È la nascita del marchio Sybilla.

    Collezione Sybilla Autunno/Inverno 1986-87 presentata a Milano Collezioni

    Le creazioni prodotte da Guardione sono presentate nelle fiere di Milano e Parigi, vengono ricevuti i primi ordini di importanti clienti stranieri (“Biffi”, “Bergdorf Goodman “,” Victoire “) e lusinghieri commenti appaiono nella stampa spagnola, entusiasta e fedele, che la consacra come ” grande promessa “. Sybilla presenta collezioni di grande successo nella passerella Cibeles per  un numero crescente di adepti. Il nido d’ape gigante, l’effetto trompe-l’oeil, le sovrapposizioni, i capi modellabili da fili interni, i ricami, le perline, i colori drammatici, gli accessori eccentrici e la musica emozionante diventano trademarks delle sue sfilate.

    Una creazione Sybilla del 1987

    “Nella moda francese della seconda metà degli anni ’80, da una parte avevamo un filone molto androgino (ad esempio, Comme des Garçons) e dall’altra i principali interpreti erano Mugler e Montana. Lo stile di Sybilla era soft, femminile, in un certo senso naif, ultrapersonale. Il suo mondo non ricordava nulla di quanto conoscessi”,  ricorda Alexandre de Betak,  fondatore del Bureau Betak, che ha mosso i suoi primi passi collaborando, ancora studente non ancora ventenne, con la stilista madrilena.

    Ad ottobre 1986,  apre la boutique di Madrid in un vecchio garage di un vicolo sterrato, l’attuale e celebre Callejon de Jorge Juan.  Sybilla incontra i  fotografi Javier Vallhonrat e Juan Gatti: il trio produrrà negli anni seguenti immagini pubblicitarie memorabili. Nel 1987 José María Juncabella, presidente di Industrias Burés, offre a Sybilla la possibilità di lanciare una linea di biancheria intima che, nel corso degli anni, diventerà un must.

    L’apprezzamento crescente di Sybilla nella stampa internazionale suscita l’interesse della famiglia Zuccoli, proprietaria della fabbrica di Gibo, che confeziona e produce il prêt-à-porter della star del momento, Jean Paul Gaultier. Gli Zuccoli propongono una nuova licenza, sfilate a Milano, i migliori tessuti italiani … Il grande salto. A quel tempo, le sue sfilate a Milano sono eventi affollati e clienti si accalcano nello show-room milanese: suddivise in quattro sezioni, ciascuna con la sua musica,  descrivono quello che De Betak chiama la “storia della ragazza Sybilla che cucina, lavora, esce e si sposa. Molto narrative, in pieno stile Almodòvar.”. La collaborazione con Alexandre aggiunge spettacolo, humour e charm al mondo etereo di Sybilla.

    Collezioni Sybilla A/I  1988/89 – P/E 1989 – A/I 1989/90

    I suoi cataloghi di allora sono magnifici: Sybilla ammalia con il suo talento e il suo nome comincia a comparire su riviste quali  French Vogue, The Face, The New Yorker, Vogue Italia, Vanity Fair, Glamour, Lei, I-D …

    ADV della collezione AI 1988/89. Photo by Javier Vallhonrat

    L’anno di massimo riconoscimento del suo lavoro è  il 1988: a soli 25 anni riceve il “Golden Needle of Dreams”  e il prestigioso premio Balenciaga, creato dal Centro di promozione della moda del Ministero dell’Industria  che mira a promuovere l’espansione e il prestigio della moda spagnola. Nel 1989, firma un contratto con Itokin, il gigante giapponese dell’abbigliamento. Subito dopo Milano Collezioni, la collezione “Winter Airport” viene presentata a Tokyo, in una sfilata che Sybilla propone come una parodia del suo stile di vita di quel momento: viaggi costanti, attività febbrili, servizi fotografici, interviste e brevi periodi di riposo. Sybilla sfrutta tutte le risorse teatrali offerte dalla passerella, dalla musica, dalle acconciature e, soprattutto, da un casting di modelle e amici trasformati in attrici spontanee di una messa in scena teatrale piena  di emozioni e umorismo. Tuttavia, concepire e tenere una sfilata come questa è estenuante, soprattutto se devi farlo ogni sei mesi.

    Collezioni Sybilla PE 1989 (sinistra) e AI 1989/90 (destra)

    In Giappone, sviluppa una linea di cosmetici per Shiseido . Fernando Ciai inizia a produrre splendide collezioni di maglieria che stupiscono tutti. Sybilla non si ferma da due anni e mostra i primi sintomi di sfinimento: il brillante successo ha inondato la sua vita di impegni e responsabilità. Sybilla inizia a considerare di abbandonare le sfilate e di presentare le sue collezioni in modo alternativo. Presenta la sua collezione “Buenas y malas (Bene e male)” a Milano, Tokyo e New York.

    Collezioni Sybilla P/E 1990- A/I 1990/91- Teatro ES A/I 1991/92

    : Immagini della Collezione PE 1991. Foto: Rinaldi-Severini

    Queste creazioni rappresentano un cambiamento significativo nella sua carriera: incoraggiata dalla quantità e dalla qualità dei mezzi offerti dall’industria italiana, il suo stile diventa più complesso e comincia ad usare materiali sempre più preziosi .

    Il produttore giapponese Moonbat lancia una visionaria collezione di ombrelli mentre, a Maiorca, Farrutx produce scarpe e borse sorprendenti. Nel 1991 apre a Parigi un negozio temporaneo e meraviglioso con una sfilata che sarà l’ultima della sua carriera: una performance teatrale incredibile, una collezione che è un fuoco di energia creativa. La sfilata è solo una delle attrazioni dello spettacolo che viene messo in scena: ci sono anche giocolieri, giochi, orchestra …sul quotidiano francese Libération appare la seguente recensione: “Gli spagnoli danno una lezione su come organizzare una festa a Parigi”

    Il mondo degli accessori di Sybilla – Tre abiti di Sybilla, creati tra il 1988 e il 1990, donati dalla Fondazione Vogue Paris al Palais Galliera.

    Pochi mesi dopo apre il negozio di Tokyo: solo i giapponesi riescono a trasformare in un fenomeno di moda di massa un marchio che, come Sybilla, ha sempre nuotato controcorrente e che, nonostante il suo clamoroso successo, commercialmente si è limitato a un pubblico certamente elitario con alto potere d’acquisto. In Giappone, Sybilla ha uno stile meno intellettuale, più accessibile ed è più economico: è l’effetto di un difficile processo di adattamento reciproco e di una lunga serie di impegni con l’equipe di tecnici della produzione, consulenti di moda e dirigenti con i quali ciascun designer deve combattere in ogni collezione. Il risultato è una bomba commerciale che persiste ancora e che, grazie ad un generoso flusso regolare di yen, le permette di disertare il  mondo della moda europea, che sembra troppo sclerotizzato, artificiale e ostile. La mostra Le monde selon ses créateurs apre al Palais Galliera di Parigi, alla quale Sybilla partecipa con Vivienne Westwood, Gaultier, Romeo Gigli, Martin Margiela e Jean Charles de Castelbajac.

    Nel 1992, Sybilla rimane incinta del suo primo figlio, Lucas:  convinta che sarà impossibile conciliare la sua frenetica vita professionale con la maternità, decide di sospendere i suoi contratti con gli industriali italiani e dedicarsi esclusivamente alle sue collezioni per il Giappone, dove iniziano a essere vendute nuove linee di accessori: orologi, cravatte, fazzoletti … Le borse fanno in boom di vendite per anni. Il miracolo giapponese è già un dato di fatto.

    Nel 1993, firma la prima collezione per il Giappone. La linea nasce con uno spirito di gioia irresistibile che viene percepito non solo nell’abbigliamento o negli accessori, ma anche nella decorazione dei primi 15 negozi. Stephane Sednaoui attenua lo stile ottimistico con inquietanti campagne pubblicitarie. Sybilla è pienamente impiegata nel fornire una personalità potente a Jocomomola. Il suo obiettivo è quello di allontanarsi il più possibile dalla marca madre. Più tardi, la rigidità del mercato giapponese costringerà ad ammorbidire il mix anarchico di forme, modelli e tecniche di lavorazione a maglia che regna nelle prime collezioni. Jocomomola è prodotto anche in Spagna e, dal 2001, apre un divertente negozio a Madrid, vicino al negozio Sybilla.

    Nel 1994, dopo aver scelto una strada trasversale, Sybilla vede realizzato uno dei suoi sogni, ed è in Giappone. I suoi vestiti vendono da soli, senza interviste, senza sfilate, senza imbrogli o campagne pubblicitarie. Sybilla non vuole essere una “grande designer”, né una stella della moda, né tanto meno una figura pubblica. Vuole semplicemente fare vestiti. Lo splendore del mondo della moda l’ha abbagliata per un breve periodo. Partecipa alla mostra Modes Gitanes con un abito ispirato al famoso pacchetto di sigarette.

    Nel 1995, Blanca Lí, una coreografa di Granada che vive a Parigi ed è anche un’amica, ordina a Sybilla i costumi di uno spettacolo ambizioso che sta preparando sulla leggenda di Salomé. Sybilla realizza un mix di tipici costumi music-hall in  maglieria molto essenziale e abiti “sonori” molto impressionanti che, durante la coreografia, partecipano alla realizzazione della musica. In quello stesso anno, propone la sua prima collezione di abiti da sposa, che è un’altra delle linee di lavoro di successo della casa. In estate nasce il figlio Bruno, al quale Sybilla si dedica completamente.

    Nel 1996, Louis Vuitton, in piena ristrutturazione della sua immagine, commissiona a Sybilla e ad altri designers il design di una borsa che utilizzi il  classico logo, di cui viene celebrato il centenario. Sybilla costruisce uno zaino con un ombrello incorporato intitolato “Shopping sotto la pioggia”. Le prime candele firmate Sybilla appaiono sul mercato, prodotte dalla catalana Cerabella Cerabella, tra cui la candela “Candelabro” che diventa rapidamente popolare.

    Zainetto-ombrello creato per il centenario di Louis Vuitton nel 1996 – L’abito España

    Il 1996 è anche l’anno in cui disegna la celebre tuta España:  un abito in crepe di seta nera, che sottolinea e valorizza il corpo della donna, con una scollatura rotonda sul petto e sul retro, non ha maniche ma cinturini. Presenta una caduta rinforzata da una fodera dello stesso tessuto della tuta, è lungo fino a terra e finisce in una piccola coda nella parte posteriore. La linea del vestito, in linea con il minimalismo che prevale a metà degli anni ’90, è sobria e raffinata. L’originalità del suo design è focalizzata sul suo fronte, più specificamente sul busto, fatto di forme arrotondate e arrotondate, unite con fili di nylon invisibili, che formano una sorta di mosaico senza bordi, eliminando tutto ciò che è superfluo, anche le cuciture.

    Il disegno che forma il collage riflette in queste forme gli stereotipi che caratterizzano la cultura spagnola, come il toro, il sole e la croce latina che simboleggia l’importanza della religione. Sybilla non solo riprende l’idea de “The Little Black Dress”, il vestito nero, molto in voga  nel mondo della moda grazie a Chanel, ma si collega anche con la più pura tradizione del nero nell’abbigliamento spagnolo.

    ADV della linea “Sybilla Noche” (1997)

    Nel 1997 realizza una linea di abiti da festa: Sybilla noche. Nel 1998 firma le licenze in Spagna per distribuire linee di tappeti, candele, oggetti decorativi in argento, lenzuola, asciugamani, accappatoi, piastrelle idrauliche …

    ADV Sybilla AI 2001/02

    Nell’anno 2000  le presentazioni private della linea Sybilla noche  a Parigi riscuotono un nuovo successo clamoroso. Sybilla non cessa di creare : nel 2003 firma un contratto con la società Pier, produttori veneziani giovani e anticonvenzionali. Di nuovo la designer vende a Milano e apre uno store Sybilla e Jocomomola in Cina: il marchio continua a trionfare. Il 2003 è anche l’anno in cui Sybilla celebra i suoi 20 anni di professione, con una brillante mostra retrospettiva a Barcellona. Lo slogan del catalogo intona un “venti non è niente … e felice è lo sguardo”.

    ADV Sybilla PE 2002 with Mariacarla Boscono

    Con lo stesso spirito, continua a lavorare e progettare dalla sua casa a Maiorca. Impegnata nei loro ideali e diffondendo i valori che pensa dovrebbero prevalere nel mondo, come il rispetto per l’ambiente, la sostenibilità e gli effetti – a volte dannosi – della globalizzazione. Sybilla è fedele alla sua filosofia e preferisce rimanere fuori dalle grandi correnti alienanti della fama dei media. Nel 2005, Sybilla  decide di prendere le distanze dalla società da lei fondata per poi tornare dopo dieci anni di assenza nel 2015 , recuperando la proprietà del marchio, precedentemente venduto a Martin Varsavaky e Miguel Salis, fondatore di Jazztel .

    “La moda è nel mio sangue, quasi una dipendenza: dovevo rifarlo”ha detto durante una presentazione della sua collezione primaverile a Parigi.

    Sybilla A/I 2015/16

    Durante la sua pausa di 10 anni, Sybilla è stata tutt’altro che inattiva, dedicandosi a una vasta gamma di progetti, dall’organizzazione di seminari sul design sostenibile e la responsabilità sociale nella sua casa nelle montagne della Sierra de Tramuntana a Maiorca al lavoro come presidente di Fabric for Freedom , una fondazione che promuove la produzione di tessuti creati con materie prime provenienti da cooperative agricole, sociali e artigianali. Tutto questo buon lavoro è tradotto in modo eco-sostenibile, creando una moda per donne reali: “Voglio dare loro fiducia e forza, una sensazione di bellezza naturale, di facilità senza sforzo. I vestiti devono essere indossati con amore, emozione e orgoglio “, ha detto.

    Sybilla P/E 2016

    Il suo marchio di fabbrica è ancora  uno stile liquido e fluido, la linea che accarezza i fianchi, che esalta la rotondità delle spalle, che allunga la scollatura con décolleté dal design accattivante. Gli abiti sono tagliati per nascondere o rivelare con una sensualità gentile ma seducente. Sono anche  abiti “belly-friendly”, tagliati per distogliere l’attenzione  da quel punto del fisico femminile notoriamente non così perfetto. “Le mie forme sono rotonde, basate sul cerchio. Possono trasformarsi per proteggere o esporre. Le donne sono guerriere, e voglio dar loro un’armatura che può essere leggera e forte allo stesso tempo!” . Sybilla sperava che le vendite e, soprattutto, qualche grande investitore l’avrebbero accompagnata a decollare e diventare di nuovo un riferimento ma negli ultimi quattro anni il mercato ha remato contro,  con debiti che si sono accumulati e con sole vendite in Giappone, da cui arriva il 60% del suo fatturato annuale. Il resto proviene principalmente da licenze di marketing. L’ultimo Natale è stato drammatico nel laboratorio Proesa-Sybilla, situato nel quartiere Carabanchel di Madrid. Un grande gruppo spagnolo era deciso a prendere le redini di Sybilla e infine a rafforzare il progetto, ma l’accordo è sfumato all’ultimo momento: è stato uno shock per Sybilla, che deve decidere se dichiarare bancarotta e chiudere o sopravvivere pochi mesi in cambio di una drastica riduzione dei costi, incluso il pagamento delle buste paga. 

    “I lavoratori adorano Sybilla, la sua storia è molto bella e ci sono impiegati che sono con lei da più di 20 anni, motivo per cui lo sopportano e continuano a poggiarsi sulla sua spalla”, dice un ex operaio. L’accordo fallito è arrivato nel momento peggiore, proprio quando Sybilla ha dovuto rimborsare il prestito che Itokin, il suo partner giapponese, aveva fatto nel 2014 per aiutarla a decollare. In particolare, 1,2 milioni dovevano essere rimborsati a Gennaio. Sybilla non ha potuto risolvere i problemi da sola e da allora Itokin ha accumulato il debito in “royalties”, strangolando ancor di più  le entrate del marchio, che oggi, mercato giapponese e licenze escluse, si riduce a abiti su misura (sposa e notte) e alla  produzione di cashmere eco-sostenibile in Mongolia. Nel frattempo, la compagnia deve continuare a pagare 200.000 euro all’anno ai suoi creditori.  Un esempio dei tempi che il marchio sta vivendo è stato il party di apertura del proprio negozio a Madrid, all’inizio dello scorso dicembre. L’evento è stato più simile a una festa paesana,  con birra e musica fornite gratuitamente dagli amici di Sybilla, che al classico red-carpet che i grandi della moda di solito organizzano. L’intero quartiere di Chueca ha appreso, in mezzo alla festa di strada, che Sybilla era tornata.  Sebbene l’accordo con un fondo lussemburghese sia sicuro , basato su un piano quinquennale basato su un prestito ponte,  che saldi il debito  con il Tesoro ed renda l’azienda in grado di fare ordini ai fornitori, di produrre nuovamente e di aprire cinque nuovi negozi in Spagna, sia per convinzione che per pura necessità, Sybilla afferma che se anche questa alleanza verrà troncata, lei getterà la spugna.

    “Se il progetto di business non andrà avanti, dovrò chiudere e  fare altre cose. Molti vicino a me sarebbero felice di vedermi lavorare meno, ma sarebbe triste, perché molti riversano entusiasmo e tutto il loro sforzo in questo progetto”.

    Al contrario, se finalmente la ruota girerà, facendo spazio per i nuovi investitori e le nuove collezioni, il suo prestigio, nonostante le difficoltà, resterà comunque alto. In realtà, Sybilla non ha mai smesso di ricevere premi in questi quattro anni di Via Crucis. Nel 2015 ha vinto il Premio Nazionale per il Design della Moda, assegnato dal Ministero della Pubblica Istruzione, Cultura e Sport; solo un anno prima, lo stesso ministero gli aveva assegnato la medaglia d’oro al merito nelle Belle Arti. Recentemente, il designer ha ricevuto la medaglia di Barcellona per il sostegno al  Design e  alle Arti (FAD) 2018, e la Comunità di Madrid le ha inoltre assegnato il suo ultimo Premio Cultura nella categoria moda. Chi vivrà, vedrà.