INTERVISTA A PAOLO LEONARDO

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Sin dai tuoi esordi nel 1994 hai analizzato l’essenza e l’esistenza dell’immagine, la presenza consacrata del già visibile, l’infinita riproducibilità della visione e della rappresentazione, riuscendo a scardinare e ricodificare un mondo, un sistema, quello della società dell’immagine diffusa, attraverso l’intervento pittorico, l’interferenza fisico-mentale della tua azione. Da dove nasce questa tua necessità di intervenire nell’immenso archivio della “riproducibilità tecnica”?

“La mia prima esperienza artistica di rilievo è stata un intervento urbano del 1994. Non sopportavo che l’orizzonte della mia città fosse invaso da immagini pubblicitarie, da questi volti e corpi che rappresentavano l’uomo, ma allo stesso tempo lo banalizzavano stereotipandolo e riducendolo a merce. Una notte ho strappato due grandi manifesti un volto di uomo e uno di donna e, dopo averli modificati con un intervento pittorico, di stile espressionista, li ho ricollocati abusivamente negli espositori stradali pubblicitari. Dal 1994 al 2002 ho fatto numerosi interventi urbani a Torino, Milano, Nizza, Bruxelles, Parigi. L’intento dei miei interventi pittorici era quello di rimettere al centro la rappresentazione dell’uomo e del corpo attingendo all’immenso archivio delle immagini pubblicitarie che, in qualche modo, avevano e hanno la forza di rappresentare l’uomo nella società contemporanea con i suoi stereotipi, le sue miserie, con i suoi vuoti. Il procedimento del mio lavoro è suggerito da Roland Barthes ne “La camera chiara”, dove si ricerca nell’osservazione delle fotografie un rapporto empatico, uno studio emotivo; in esse vedo un potenziale di senso e in alcune anche una sorta di potere magico, ed è attraverso l’intervento pittorico che instauro un dialogo con queste immagini.  Sono stato molto attratto dall’iconografia femminile, tema fondamentale nella storia dell’arte. Dal 2002 mi sono concentrato sulle immagini pubblicitarie di moda. Riappropriandomi di questi “corpi”, li riporto sul territorio della pittura, per riflettere sulla rappresentazione della donna e dell’uomo nell’immaginario pubblicitario, cercando di riattualizzare una pittura dove l’umano è essenza e motivo di indagine. Mi interessa rappresentare dei tentativi di fuga delle figure dalla propria identità estetica e sociale. Così, consegno le figure all’eternità di un tempo monocromo dove ogni metamorfosi è possibile.”

Catturando le figure dall’immenso museo dell’immagine globale (la fotografia, il cinema, le riviste, i libri, etc.) e intervenendo con il colore, costruisci foucaultianamente il tuo archivio personale come un luogo mai concluso di un “processo” alle immagini, come spazio, teorico e fisico, in cui i documenti possono acquistare nuovo significato, nuova voce e nuova attualità, in cui possono diventare, finalmente, monumenti. Come avviene questo processo?

“Appropriandomi dell’immenso archivio d’immagini fotografiche della contemporaneità in qualche modo attraverso l’intervento le porto su un mio territorio quello della pittura, della visionarietà, in un certo senso le salvo dall’oblio, consegnandole alla durata. Per esempio quando vado in giro nei mercati d’antiquariato per terra trovo uno straordinario archivio di immagini di fotografi anonimi, guardo tutte queste foto ma solo alcune mi colpiscono. Secondo me s’inizia a reinterpretare un’immagine dal momento in cui si entra in empatia con essa, isolandola, ed è attraverso il filtro della pittura che le foto vengono definitivamente investite dalle mie emozioni. In ogni mio lavoro c’è una messa in crisi dell’immagine fotografica, ci sono delle linee di fuga che la allontanano dalla realtà oggettiva dell’immagine.”

I tuoi lavori nascono da riflessioni sulla storia, la filosofia, la letteratura, il cinema. Quali sono gli autori che hanno segnato in modo significativo il tuo pensiero e il tuo agire nell’arte?

“Gli autori che più hanno influito sul mio lavoro sono tanti, ma quelli che ho più approfondito sono: Guy Debord, Michel Foucault, Gilles Deleuze, Albert Camus, Louis-Ferdinand Céline, George Bataille e Carl Gustav Jung.”

a cura di Alessandro Demma

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